Alla fine, hanno deciso di proseguire il viaggio. Come e perché lo spiegano loro stessi in un messaggio e-mail inviato oggi insieme ad alcune foto di viaggio.
“A Rabat – raccontano Christine e Aldo - otteniamo il visto della Mauritania e ci immergiamo nell’atmosfera del suo shouk fra l’odore della menta e della curcuma. Campeggiamo all’interno delle mura di Tiznit, il campeggio è pieno e a fatica ci trovano un posto fra camper italiani, tedeschi e i tanti francesi che la fanno da padroni in tutti i sensi.
Qui subito un italiano si avvicina, ci porge gli auguri di buon anno e ci informa sui rapimenti avvenuti recentemente. Ha conosciuto personalmente pochi giorni prima la coppia che poi è stata sequestrata: ci evidenzia che erano viaggiatori temerari poiché si muovevano anche di notte, cosa assai rischiosa in quelle terre.
Ci informa che recenti indagini hanno evidenziato che anche i tre spagnoli sequestrati si erano fermati lasciando il resto delle auto con cui viaggiavano solo per telefonare a casa e sapere gli ultimi risultati di calcio.
Dopo 14 giorni lasciamo il Marocco. Entriamo nella terra di nessuno. Un tempo la strada era asfaltata, ora è abbandonata a se stessa, auto e furgoni di dubbia provenienza sono abbandonati qua e là, alcuni sono solo rottami contorti dall’esplosione della mina che li ha fermati per sempre. La pista è invasa da queste carcasse di ogni età abbandonate al sole e alla sabbia.
Ci occorrono 7 ore di dogana per entrare in Mauritania, dovuta a code quasi inesistenti e lungaggini dei doganieri in combutta con faccendieri vari. Pochi chilometri e ci fermiamo all’interno delle mura di un camping a Nouadhibou.
Una strada asfaltata di 450 chilometri di dune alte e basse sfumate di tutti i toni della sabbia, dall’ocra al bianco, l’Harmatan (vento del deserto) soffia sollevando l’arena fino al punto di rendere difficoltosa la visibilità. Per fortuna c’è poco traffico. Arriviamo a Nouakchot, entriamo nel camping Menata dove tutti i viaggiatori passano la notte. Lo spazio è poco, sembra più un parcheggio che un campeggio, ma si sa, per la sicurezza, questo e altro.
Ottenuti i visti per il Mali, riprendiamo la nostra via per raggiungere il Senegal. Imbocchiamo la pista lungo la diga per Diama. Il tracciato è incerto, superiamo bivi e deviazioni e grazie al Gps ritroviamo il bandolo della matassa. Il gioco dell’orientamento è premiato con l’apparizione della frontiera.
Qui dobbiamo dribblare le varie richieste di denaro e quando la sbarra di confine finalmente si alza tiriamo un sospiro di sollievo, siamo in Senegal. Saint Louis, nostra meta odierna, dista solo 30 chilometri di strada asfaltata”.