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25.02.2010

Diario di viaggio 5: uomini all'inferno

La vita può essere dura in Benin, ma non si può immaginare quanto se non si entra in un carcere. Centinaia di persone hanno a disposizione spazi angusti e nulla che aiuti a sopportare una punizione che, in queste condizioni, non ha nulla a che vedere con la giustizia.
La visita ai carcerati è, ormai da anni, un appuntamento fisso dei viaggi di Alpidio Balbo in Benin. Le scritte dipinte sui muri all'ingresso, sia del corpo principale della casa di pena, sia del reparto riservato ai minori, testimoniano che anche qui il GMM si è impegnato per rendere più sopportabile la reclusione in un luogo concepito senza alcun rispetto per l'uomo.
Portati i saluti d'obbligo al “regisseur”, il comandante della prigione, una giovane guardia ci accompagna in quello che, a voler fare un po' di umorismo colto, si potrebbe definire l'anello mancante dell'Inferno di Dante. E, in effetti, lo stesso Balbo, qualche anno fa, realizzò qui un piccolo documentario intitolandolo “L'inferno dei vivi”. Passato il portone di ferro che separa i reclusi dal resto del mondo, ci si trova di fronte a qualcosa che non ha alcun metro di paragone con nulla che si possa definire “vita civile”.
Centinaia di persone si ammassano in un cortile coperto da una tettoia per nulla sufficiente ad allentare il caldo soffocante. Almeno altrettante se ne stanno, sedute o sdraiate, in locali chiusi, di varie dimensioni, che moltiplicano la temperatura esterna: sono i dormitori nei quali tutti, senza eccezioni, saranno chiusi per la notte a partire dalle 18. In uno stanzone devono stare in 150 con uno spazio a disposizione di poche decine di centimetri ciascuno e la ventilazione assicurata da qualche ventilatore a soffitto fatti installare anni fa su iniziativa del GMM.
Ovunque, sia all'interno che all'esterno, le condizioni igieniche sono disastrose.
“Hanno imparato a dormire seduti, ognuno con la schiena appoggiata al petto del detenuto che gli sta dietro”, spiega Balbo. I più fortunati, quelli che dispongono di denaro, hanno “diritto” ad uno spazio più ampio: un cubicolo profondo ricavato in un muro, in cui possono almeno sdraiarsi.
Diversi carcerati riconoscono Alpidio Balbo e lo salutano con strette di mano e pacche sulle spalle. Qualcuno cerca di fermarlo per raccontargli la sua storia. Sanno che in alcune occasioni il presidente del GMM si è fatto carico del pagamento della cauzione, spesso poche decine di euro, consentendo a qualche detenuto di uscire. Un esempio è quello di Aicha (che la sera – è il 24 febbraio - incontreremo a cena a casa di Bachirou), incarcerata con tutta la famiglia e liberata lo scorso anno (si veda in questo sito nelle “Storie africane” il racconto “L'amicizia è un sorriso”).
Non è mai una scelta facile. Qui convivono assassini e semplici ladri di polli (e non è un modo di dire) e stabilire chi ti sta prendendo in giro e chi, invece, è effettivamente vittima di una punizione eccessiva, al limite dell'ingiustizia, è impresa non da poco.
La visita si conclude nel reparto femminile. Ci sono donne di tutte le età. Anche una bambina, costretta a crescere nel degrado di un carcere perché la mamma è detenuta. Almeno in questo caso, non ci sono dubbi morali: semplicemente una bambina così piccola non può restare in questo luogo ancora a lungo.
Giuseppe Marzano

Nelle foto: immagini della visita al carcere
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