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Appunti di viaggio

25.03.2006 - Angelo Pellegrino di Borgagne (LE) è stato in Benin per tre settimane nei mesi di ottobre e novembre. Di seguito alcuni suoi appunti di viaggio.

Parakou 30 ottobre
Un popolo che soffre con dignità. Una sofferenza domata. Un dolce, pacato ritmo di vita. Faticoso ma sopportato perché senza alternativa. Devono vivere con questi ritmi: passo dopo passo. Il tempo per loro è il sole e la luna, è il canto di un gallo, è il momento del raccolto dell’igname, è l’arrivo dell’harmattan, è il tam tam dei loro tamburi e l’ipnotizzante movimento delle loro danze, è la voce dei suoi anziani, è l’arrivo al mercato, è la conquista di un grande recipiente d’acqua, è la luce e la notte, è la morte e la nascita di un bambino, è il maturarsi del frutto del baobab, è la domenica e il vestirsi a festa, è il sole che nasce e tramonta.
Un popolo che deve essere per noi dimostrazione di vita. Fatica in maniera inaudita, in condizioni bestiali. Polvere, secco, mancanza d’acqua, malattie, terreni arsi dal sole, distanze abissali per raggiungere scuole, mercati, campi da coltivare, acqua.
Ma li vedi lì piccoli e piccolissimi, donne, uomini e anziani aggrappati ai loro villaggi. Gli uomini si radunano in piccoli gruppi sotto l’ombra di un mango, i bambini giocano facendo rotolare una gomma di bicicletta con un bastone, le donne cuociono i loro cibi su un fuoco acceso vicino la loro capanna. Sono un esempio di vita. Ti sorridono, ti sorridono e nel loro sguardo non vi è neppure un pizzico di invidia o di rabbia. Ti sorridono, ti salutano e tornano passo dopo passo a vivere la loro vita per quella che è. E’ solo quella vita che conoscono ma è la loro vita.
I piccoli bambini di Pèrèrè sono le vittime innocenti di questa vita. Orfani, malnutriti. Arrivano in questo centro e vengono accuditi da giovani infermiere volontarie. Molti di loro arrivano in condizioni irreversibili e muoiono lì tra le braccia di queste donne.
Quanta sofferenza e vita in questo popolo.

Parakou 2 novembre
Vedo questa gente vivere la sua vita con semplicità inspiegabile a chi come me viene da un mondo fatto di comodità. Per noi occidentali, o almeno per la massima parte di noi, il cibo non è elemento di sopravvivenza ma anch’esso elemento di soddisfazione del “bello”.
Questa gente mangia per dar forza al suo corpo, per affrontare le fatiche di ogni istante, per cercare di sopravvivere alle malattie. Mangia quello che può e beve quello che può. Spesso acqua melmosa e piena d’insetti, tenuta in otri di creta sull’uscio della capanna. Vi attingono la calebasse e bevono con gusto. Bevono per dissetarsi.
Quanto ha da insegnarci questa gente.
Il villaggio è la loro casa, la terra la loro materia di sostentamento, il cielo il loro tetto, gli anziani il loro sapere, i bambini la loro gioia, l’acqua la loro vita.
Non posso non pensare ai miei nonni salentini. Loro hanno vissuto situazioni di vita simili e la loro umiltà e dignità sono stati valori incommensurabili che purtroppo noi non abbiamo saputo cogliere nel profondo e molto meno ancora le nuove generazioni. Tutti abbiamo tutto dove “tutto” per un buon 80 per cento è superfluo, ma lo pretendiamo.
Il legame che mio nonno aveva con la sua terra è lo stesso che i popoli di quest’Africa hanno con la loro terra: un rispetto reverenziale. Fonte di fatica ma anche fonte inesauribile di vita.
Alpidio Balbo: un grande “commerciante del bene”. Uomo capace di imprese incredibili, dinamico, determinato, ma soprattutto umano, doti che gli hanno consentito di far fronte a mille problemi e trovare per ognuno di essi tante soluzioni.
Ma non sono sufficienti queste doti per affrontare l’Africa per quasi 35 anni. Non è umanamente possibile pensarlo se si potesse riuscire ad avere anche una minima percezione della situazione mentale, culturale, tecnologica di questa Terra.
“Papà Balbo”, come affettuosamente lo chiamano tutti i suoi amici africani, e credetemi sono tanti, ha dentro di sé una grande forza: l’amore sviscerato per questa terra ed il suo popolo di cui ne accetta pregi e difetti. Sono i pregi e i difetti di quest’Africa che per 35 anni lo hanno ricaricato. Ma senza la sua forza mentale, la sua determinazione, le sue capacità di dialettiche, il suo amore per il prossimo, il suo rispetto per questa gente, non avrebbe fatto tanta strada, non avrebbe fatto tanto bene. Lui di strada ne ha fatta ed il suo grande miracolo è stato quello di riuscire a trasmettere parte di questo amore a tanti italiani. E’ da 35 anni che semina.

Ouidah, 8 Novembre 2005
La miseria, la povertà è spesso espressione di ricchezza interiore. Una ricchezza profonda che si esprime ancora meglio grazie alla semplicità di una vita vissuta in simbiosi con la natura.
La nostra ricchezza è materiale, è una ricchezza che si alimenta della nostra stessa carne. Cannibale. Noi la natura la distruggiamo per alimentare il nostro egoismo. Ce ne stiamo rintanati nel nostro benessere, la testa china. Il nostro pavimento è lucido. Dobbiamo sforzarci di sollevare il nostro sguardo e vedere quello che i nostri occhi non riescono più a vedere perché non c’è altro intorno a noi che noi stessi.
Basterebbe solo vedere. Guardare in faccia la povertà, guardare in faccia la sofferenza, guardare in faccia quella dura verità che noi ci rifiutiamo di accettare perché apparentemente non nostra.
Ma lo è stata, è stata dei nostri genitori, dei nostri nonni, era nelle nostre case. Loro per primi l’hanno con forza disperata allontanata.
Ma come possiamo dimenticare? Come possiamo non vedere chi oggi vive la miseria e la povertà dei nostri nonni? Non vedere questo è come cancellare con un semplice colpo di spugna la dignità e i valori umani che i nostri antenati hanno avuto ed hanno cercato di trasmetterci.

Cotonou, 11 novembre
L’opera compiuta da papà Balbo e dal suo Gruppo Missionario di Merano, così come l’opera di tanti altri gruppi umanitari deve servire ad alleviare le sofferenze di questo popolo: Acqua, istruzione, salute, protezione degli indifesi. E’ questo il loro ruolo e noi dovremmo fare la nostra piccola parte: “Se molti uomini di poco conto, in molti posti di poco conto facessero cose di poco conto, la faccia della terra potrebbe cambiare” (G. Torelli dal meraviglioso libro di Paolo Valente “L’Albero dai fiori rossi” che tanto può insegnarci).
Vi aspettiamo nella nostra piccola Borgagne dall’1 al 4 Giugno prossimo per vivere insieme a noi “Borgoinfesta”. Borgoinfesta: sinergica attività volontaria di una piccola comunità (Borgagne conta solo duemila abitanti) per la valorizzazione e la salvaguardia del territorio nel rispetto della natura e delle tradizioni ma soprattutto nel rispetto di Mamma Africa. Con i fondi raccolti nel 2005 abbiamo dato vita al nostro primo pozzo in Africa grazie ad Alpidio e al Gruppo Missionario di Merano, abbiamo inoltre avviato l’adozione a distanza per quattro bambini. Non vogliamo fermarci e soprattutto vogliamo continuare ad essere vicini al gruppo Missionario di Merano ed ad Alpidio. Avremo come ospite mons. Martin, vescovo del Benin che incontrerà i nostri bambini salentini insieme ad Alpidio Balbo.

Angelo Pellegrino

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