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Amore folle, amore gratuito

5.2.2011 - Valentina Soldo, torinese, da anni sostiene l'attività del GMM, che ha conosciuto grazie alle visite di Alpidio Balbo alla parrocchia Santa Croce di Torino. Dopo l'ultimo incontro del presidente del GMM con la comunità torinese, ha scritto la lettera che pubblichiamo.
Carissimo Alpidio,
mi conosci da quasi vent'anni, da quando ero poco più che una bambina, che ti ascoltava – commossa ed incantata – mentre raccontavi nella nostra parrocchia di altri bambini meno fortunati di me.
Le storie che porti con te dall'Africa, il modo in cui le narri, e la tua stessa esperienza di vita, non possono che ingenerarci delle domande: come vivo la mia fede? Cosa vuole da me il Signore? Cosa posso fare io per il prossimo? E chi è, in ultima analisi, questo prossimo? Una specie d'inarrestabile esame di coscienza, che talvolta mette in crisi, ma che sempre conduce ad un'autoconsapevolezza più matura e profonda. E non è una questione solo di noi cristiani cattolici, perché qui si tratta di fare i conti con se stessi e col senso della propria esistenza, prima ancora che con Dio!
A qualunque religione appartenga, ciascuno di noi deve poter dare un significato ad ogni piccolo gesto che compie, anche al più semplice e banale degli atti quotidiani: studiamo per istruirci e crearci una posizione, lavoriamo per realizzarci e portare a casa uno stipendio, dormiamo per riposarci, usciamo con gli amici nel weekend per svagarci, e così via. In altre culture magari ci sono tempi, modi e luoghi diversi, ma tutto sembra avere la sua spiegazione.
Solo una cosa sfugge ad ogni logica: la solidarietà, perché si basa su regole in netto contrasto con la nostra mentalità. Al punto tale che la gente stenta proprio a capire chi la mette in pratica: ma se sei un volontario (e quindi nessuno ti paga per il tuo operato), chi te lo fa fare di andare dall'altro capo del mondo, in mezzo talvolta alla sporcizia, al degrado, alla malattia ed all'ignoranza? Cosa ti spinge ad abbandonare le certezze della tua casa, e a cacciarti in situazioni spesso scomode – oltre che pericolose – per salvare anche solo un bimbo dalla morte per fame e sete?
Ci ho messo anch'io un po' di tempo per giungere alle risposte, ma ora lo so: è l'amore per Dio. Sono questi il “che cosa” e il “chi” che muovono i vostri passi. Se ripenso già solo alla mia piccola esperienza, è per amore che mi alzavo ogni due ore la notte per preparare il biberon a mio nipote e lasciar dormire mia sorella e mio cognato; è per amore che, nonostante la stanchezza, ho assistito mio padre fino all'ultimo sul letto di morte; è per amore che ho dato fondo alla mia positività ed ho accompagnato mia madre ad ogni singola seduta di chemio e radioterapia. Ed è per amore tuo, caro Alpidio, e del tuo meraviglioso Gruppo Missionario Merano che ho cominciato a scriverti queste mie piccole testimonianze, sottraendo qualche ora al sonno per consegnarti tutto la mattina dopo il nostro incontro.
L'amore ha realmente mille sfaccettature, a seconda che sia tra coniugi, tra amici, tra genitori e figli, e via dicendo. Eppure esiste un amore ancora più folle: quello dei missionari, che amano chi non conoscono, o meglio amano quelli in cui riconoscono il volto sofferente di Cristo. E allora tutto assume un significato nuovo, come un puzzle che si completa di ogni suo pezzo, fino a svelare per intero la sua immagine; perché l'amore rappresenta in effetti il motore più potente di ogni azione. Ed una sola persona è stata capace di manifestare quello che il mio docente di psicopatologia generale chiamava l'amore gratuito: Gesù Cristo, folle tra i folli. Lui che è riuscito ad amare anche i suoi nemici, che ha saputo offrire la sua vita anche per coloro che lo stavano mettendo a morte, l'unico che è stato in grado di rendere il centuplo di quanto aveva ottenuto, senza chiedere mai niente in cambio. Quale migliore esempio di questo?
Come recita l'inscrizione sull'ospedale Cottolengo di Torino:“Charitas Christi urget nos” (La carità di Cristo ci spinge). E così in terra africana i bianchi riescono a superare la fatica, il caldo, le privazioni, i disagi ed i sacrifici. E solo così si può da una parte testimoniare cosa significhi essere missionari nel mondo, e dall'altra chi sia davvero il nostro prossimo. Ma soprattutto si crea uno scambio privilegiato con Dio e coi fratelli: il primo sa darti forza quando sembra di non poter più fare nulla di utile, mentre i secondi sanno sempre chiederti aiuto con una lacrima e ringraziarti con un sorriso.
Certo, nessuno di noi può immaginare lontanamente cosa voglia dire vivere in prima persona queste esperienze ed incontrare l'Africa con i cinque sensi: posare gli occhi sulla miseria dei villaggi, avere nel naso l'odore acre dei cadaveri con una temperatura di oltre 40°C, udire in lontananza le mamme che piangono per il futuro spezzato dei propri figli, sentire in bocca il gusto di cibi molto diversi dai nostri, accettati solo per condividere le usanze locali, più che per accertarne la provenienza, ed infine aver paura di toccare i lebbrosi e i malati, come se il contagio fosse immediato.
Per questo, amico mio, i tuoi racconti sono tanto preziosi: perché il modo vivido con cui sei in grado di ricreare certi scenari – unito alla tua proverbiale sensibilità – toccano davvero il cuore. E per questo motivo vi ricordo ogni giorno, uno ad uno, nella mia mente e nelle mie preghiere: perché il buon Dio vi assista e vi guidi sempre sul giusto cammino. Noi sostenitori saremo lì, lungo il percorso, come tanti paletti che segnano una strada: la Casa del Cielo, dove sarete finalmente ricompensati per l'enorme quantità di bene che avete compiuto in tutti questi anni.
Un abbraccio colmo d'affetto,
Valentina
Amore folle, amore gratuito
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