C'est l'Afrique!
10.01.2005 - Erano 17 anni che desideravo andare in Benin a trovare la mia amica suor Maria Luisa e a visitare la Missione Cattolica di Pèrèrè... finalmente ce l'ho fatta!
In realtà ero già stato in Burundi nel 1992 e l'Africa è sempre stata la mia grande passione: nel 1992 avevo seguito un Corso di Agrozootecnia Tropicale: nel 2001 mi sono laureato in Scienze Agrarie con una tesi dal titolo "Esame delle principali tecniche di conservazione del suolo e delle acque nell'agricoltura saheliana'': nel 2002 ho seguito, presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, un Corso sullo Sviluppo Rurale in Africa. Tutto ciò ha influenzato fortemente la mia esperienza beninese...
Cosa si vive, cosa si vede, cosa si sente quando "si va in Africa"?
Si possono fare confronti tra noi e l'Africa? Un grosso limite di noi "bianchi", che andiamo più o meno umilmente in missione nel "continente nero", è questo: lo guardiamo e lo viviamo con i nostri occhi, le nostre aspettative, la nostra mentalità, la nostra quotidianità, la nostra politica, i nostri tempi... con la nostra vita, insomma. Tutto ciò ha un grosso difetto: è occidentale, quindi non africano, quindi diverso. Quando usciamo dal nostro continente non possiamo più dire di essere in un continente diverso dal nostro: è il nostro ad essere diverso da questo! Siamo occidentali e lo resteremo sempre! Non portiamo noi stessi, ma valorizziamo loro: "l'Africa è l'Africa", o come si dice laggiù: "C'est l'Afrique...".
Le "lenti di ingrandimento" con cui leggere la realtà cambiano. L'Africa non e solo il caldo, le piogge, gli insetti fastidiosi, i serpenti, gli animali selvatici, gli spazi inospitali, la terra rossa e screpacciata, le donne con la calebasse sulla testa, i bambini con i grandi occhi che ridono, l'AIDS, le guerre civili... ecc.,anche se questo è quello che la gente si aspetta di sentirsi raccontare quando ritorni.
Durante la mia permanenza a Pèrèrè ho girato alcuni video che, per ovvie ragioni, non posso riprodurre su questo foglio... cercherò perciò di presentare alcune "fotografie".
L'Africa non è solo questione di povertà. C'è, altroché se c'è... , ed è tanto maggiore quanto più noi la confrontiamo con la nostra vita. Ma, girando per i villaggi e visitando le capanne, si incontra molta più fierezza e dignità di quanta si possa incontrarne in alcuni dei nostri centri commerciali, o nel guardare alcuni talk-show o realily televisivi... Si vive con e per l'essenziale. Si vive con l’oggi, nell'oggi, facendo bastare l'oggi... che è una cosa diversa dalla povertà: è vivere con ciò che si ha.
Osservando il pasto giornaliero delle persone, questo ci sembra povero, sempre uguale e di scarso nutrimento; per loro rappresenta la pancia piena, vuol dire un altro giorno in cui si è riusciti a trovare qualcosa da mangiare...
Uscendo dalla missione si incontra l'albergo "Belle étoile"; una capanna senza camere (e capisci che si dormirà "sotto le stelle"). Solo con occhi diversi ci si accorge che dietro c'è tutta l'ospitalità e l'accoglienza africana (un valore che qui da noi è ormai nascosto dietro a catenacci, serrature e porte blindate).
Quando ti rechi all'ospedale di Tanguiéta, nel nord del Benin, per accompagnare un bambino della missione ad una visita e, a causa delle corsie piene, delle 35 persone per camera (due su ogni letto, una sotto ogni letto, una tra un letto e l'altro, sette od otto nel corridoio tra i letti!), delle urla e dei pianti che invadono tutto l'ambiente, ti sembra di essere arrivato all’ inferno... scopri all'opposto che quel luogo per gli africani è un paradiso se confrontato con la media e la realtà degli ospedali locali.
Quando il fuoristrada usato come ambulanza su cui viaggi, di ritorno proprio dall'ospedale di Tanguiéta, di notte, sotto la pioggia, inizia tranquillamente a fumare perché sia andando a fuoco l' impianto elettrico e tu ti trovi senza cellulare, in mezzo a persone che non parlano la tua lingua, distante centinaia di km dalla missione, capisci cosa vuoi dire affidarti alla Provvidenza, vivere giorno per giorno senza pretese il nostro passaggio su questa Terra.
I muezzìn tutti i giorni, dalla mattina presto alla sera tardi, ti "disturbano" scandendo la giornata con i loro "gorgheggi imploranti"... questa loro "puntualità" e "fedeltà" nella preghiera (che solo le religiose della missione rispettano con la Liturgia delle Ore e la Messa quotidiana!) stona al pensiero di come noi, qui, non siamo neanche più capaci di pregare prima dei pasti e prima di coricarci...
E che dire di mons. Martin, il vescovo di N'dali, che giocando con i bambini africani è disposto a cedere per qualche istante il suo "ruolo" (e il suo berretto!) rivivendo il messaggio evangelico "Lasciate che i bambini vengano a me".
La nostra "grande tentazione" è quella di voler cambiare l'Africa: chi vuole cambiare qualcun altro è perché ritiene di avere tutte le risposte esatte. E il nostro grosso difetto: pensare di aver trovato il modo giusto per vivere e volerlo esportare. Forse, a cambiare, dovremmo essere noi!
L'Africa ha bisogno di trovare il suo modo per vivere... e lentamente lo sta trovando, grazie anche all'aiuto di tante brave persone, unitamente ad altrettante che da qui collaborano al loro operato.
In tanti mi hanno chiesto cosa possiamo fare noi che stiamo qui. Per iniziare direi: "Pregate, pregate!", ce n'è ancora bisogno, ce ne sarà sempre bisogno!
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